I ricercatori che operano nel campo della neuro psicofisiologia hanno numerose tecnologie che adoperano proficuamente per studiare il cervello in ipnosi (PET,rCBF, fRMI, EEG) ma una rassegna completa andrebbe oltre gli scopi del presente contributo (l’International Journal of Clinical and Experimental Hypnosis si è occupato della validazione empirica in tre numeri, 2000, 48.2, 48.3, 48.4).
Tra gli studi interessanti occorre certamente ricordare quelli sull’analisi della frequenza tramite EEG (Yapko, 2003, p. 42) che suggeriscono una correzione tra suscettibilità ipnotica e banda di frequenza theta e la cosiddetta “banda 40 Hz”, un particolare ritmo ad alta frequenza e bassa ampiezza associato all’attenzione focalizzata; quelli su EEG e potenziali evocati evento correlati “che confermano l’ipotesi che in ipnosi vi siano modificazioni identificabili della coscienza” (Yapko, 2003, p. 43); e quelli con la PET, nei quali si evidenzia che il cervello dei soggetti in ipnosi risponde positivamente alle esperienze suggerite piuttosto che a quelle effettivamente percepite (Yapko, 2003, p. 44).
La terapia ipnotica ha oramai ottenuto numerosi riconoscimenti in campo scientifico, soprattutto nelle declinazioni applicative in ambito medico, psichiatrico e psicoterapeutico tanto che Nash (2000) la considera “tra le più accurate modalità di intervento che siano basate sulla ricerca” e Barabasz (2010) “superiore a una gran quantità di procedure standard di trattamento”.
Dal 1892 la British Medical Association (Needham, Outterson, 1892), così come dal 1955 l’American Medical Association (Kennedy, 1955), ne riconosce ufficialmente l’efficacia suggerendone l’insegnamento a medici, psichiatri e psicoterapeuti quale parte integrante delle loro pratiche convenzionali.
Più recentemente l’American Psychological Association, nella revisione del 2009 (Spiegel D., Spiegel H., 2009) del Position Statement del 1961, afferma che l’ipnosi è uno strumento specifico del rapporto medico paziente, pur mantenendo una certa cautela nel definirla terapia.
Del resto sembra oramai abbastanza evidente che non si tratti di placebo (VanDyck, Hoogduin, 1990; Raz, 2007) ed è altrettanto palese che non vi sia ancora chiarezza su cosa debba intendersi col termine “psicoterapia” (Omer, 1987). Tuttavia risulta appurato che, nel 90% dei casi circa, una qualsiasi forma di psicoterapia produce miglioramento nel paziente (dato tratto dal più ampio studio di efficacia sulle psicoterapie finora pubblicato - sviluppato nel 1995 in America su 7000 soggetti - Srligman, 1995) rispetto al non seguire alcuna psicoterapia, mentre pare sempre più manifesto l’effetto terapeutico delle strategie ipnotiche applicate all’interno di una qualsiasi psicoterapia (Thurman, 1982; Kirsch, 1996; Lynn, Hallquist, 2004).
Inoltre, per quanto riguarda la terapia ipnotica in quanto tale, una delle più recenti, ampie, metanalisi (Wark, 2008) ne individua chiara efficacia.
In senso generale, i dati convergono sulla chiara efficacia: nell’ansia generale (Golden, 2012); in quella sociale (Lipsitz, Marshal, 2001); nel disturbo post traumatico da stress (Abramovitz, Bonne, 2001); nelle fobie generali (Sommer,1995; Willemsen, 2003); nella depressione (Alladin, Allibrai, 2007; Kirsch, Low, 2013); nei disturbi del sonno (Becker, 2015); nei disturbi alimentari (Kirsch, 1996) come: obesità (Faith, 1996), anoressia (Roy, 2014; Walsh, 2008; Baker, Nash, 1987; Vanderlinden, Vandereycken, 1988) e bulimia (Barabasz, 2012); nelle disfunzioni sessuali (Lemke, 2005; Chiasson, 1992; Gilmore, 1987); nelle dipendenze generali (Potter, 2004) o specifiche, come per esempio quelle da metadone (Manganiello, 1984), cocaina, eroina, marijuana e altre droghe (Kaminsky et al., 2008; Page, Handley, 1993), alcool (Potter, 2004) o tabacco (Baber, 2001; Ahijevych et al., 2000); nel dolore acuto e cronico (Dahlgren et al., 1995; Patterson, Jensen, 2003; De Benedittis, 2013a, 2013b) utilizzando la potenzialità dell’analgesia ipnotica, come per esempio: nella fibromialgia (Wic et al., 1985), nell’artrite reumatoide (Domangue et al, 1985), nel dolore da ustioni gravi (Patterson, Ptacek, 1997) in quello da parto (Harmon et al., 1990; Schwartz, 1963); nel mal di testa muscolo tensivo (Melis et al., 1991), nell’emicrania (Anderson et al., 1975); nelle patologie tumorali (Spiegel, Bloom, 1983; Siegel et al., 1989) e nel trattamento della nausea/vomito da chemioterapia (Zelter et al., 1984; Cotanch et al., 1985); in chirurgia (Montgomeny et al., 2002; Facco et al., 2013); in gastroenterologia generale (Palsson, Whitehead, 2013); nella sindrome del colon irritabile (Whorwell et al., 1984); in dermatologia generale (Phoenix, 2007), come per esempio nello specifico campo della psoriasi (Kantor, 1990) o dell’alopecia areata (Willemsen et al.,2011); in ematologia (Swisky-Saccetti, Margolis, 1986); nel trattamento dell’ipertensione (Kebecs et al., 2016; Schwickert et al., 2006); in odontostomatologia (Jugé, Tubert-Jeannin, 2013); nella medicina d’emergenza (Peebles-Kleiger, 2000).